domenica 17 gennaio 2010

Post #11, giorno 13

La penna fa strani movimenti sul foglio. Scarabocchi, niente di concreto, o almeno è quello che direi. Vedere l'inchiostro arrotolarsi su se stesso, soltanto ghirigori per un osservatore disattento. E invece la colpa è mia, che non ho accesso a quel mondo semantico che si cela dietro i simboli incomprensibili, i simboli che Solimar sta scrivendo in quel momento.
C'è sola una promessa, ma dopo tutto è importante. Io gli insegno a suonare la chitarra, lui mi insegnerà l'arabo.

Eh si perchè poi, alla fine, la chitarra l'ho comprata. Proprio in quel negozietto, quello con i corridoi pieni di oggetti antichi messi alla rinfusa. Ma non avevo abbastanza soldi per comprare anche una custodia, e così vado in giro con la chitarra avvolta in una bustaccia di plastica nera fissata con dello scotch marrone. Non ha una bella apparenza ma almeno fa il suo dovere.

In questo periodo rimango notti intere a parlare con Solimar, il mio coinquilino. Mi chiede consigli sulle ragazze italiane. Su come comportarsi, come apparire. E' divertente, e lo è ancora di più perchè io non sono di certo la persona più adatta.
E faccio lo stesso con lui, gli chiedo delle donne del suo paese, delle loro tradizioni. E allora lo perdono se i miei vestiti sono pregni dell'odore di cucina indiana.
Ma perchè cazzo lascia i fornelli accesi tutto il giorno? Non ne sono sicuro ma credo cucini ogni due ore. Proprio così, ogni due ore fa un piccolo pasto. Fritto, ovviamente, e con tante spezie, così che la casa odora come un fastfood indiano aperto 24 ore su 24.

Stasera l'ho visto anche al club del dormitorio. Sedeva assieme ad altre persone, mentre io ballavo. Credo facessi proprio schifo. A ballare intendo. Lo capivo dal fatto che le ragazze ridevano e mimavano le mie mosse goffe.
Ma io intanto continuavo a ballare incurante, un pò per l'alcol, un pò perchè davvero non mi interessa un granchè di cosa pensano gli altri del mio modo di ballare e di muovermi.

E intanto stanotte, sotto la luce fioca della cucina, che a stento illumina il tavolo di legno, insegno a Solimar come dire ad una ragazza che "ha dei begli occhi". E chi passerà per questi corridoi sentirà un accozzaglia di Urdu ed Italiano, due lingue tanto lontane, che fanno a botte fra loro nella stanza 352, che è anche 350.

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