martedì 9 febbraio 2010

Post #17, The year of the Tiger

Provateci anche voi. E' facile, lo facevamo sempre da bambini. Appoggiate gli indici alle estremità delle palpebre. Premete un pò e tirate forte verso l'esterno. Ora guardatevi allo specchio. Bene. Adesso sapete com'erano.
Erano tutti così.


La chiave è la tastierista. E' cinese, e milita da tempo nell'organizzazione di eventi come questo. Una di quelle cose a cui i cinesi tengono tanto. Quelle grandi cerimonie piene di musica, giochi e anacardi.
Sono le 4.40. Una macchina di grossa cilindrata mi aspetta sotto il portone. Scendo di fretta (fretta italiana, si intende), con me ho la mia chitarra. Sì, la mia chitarra acustica senza custodia, che son costretto a portare a mano.
Entro in macchina. Sono l'unico con gli occhi occidentali. Quasi mi sento a disagio.
Il guidatore è bassino, sembra giovane. Mi dice di allacciare le cinture. Punta verso l'acquario, il posto è li vicino.
Arriviamo con leggero ritardo. Gunar è già li, che aspetta sul palco con il suo mandolino fra le braccia. Ci sono problemi con i cavi, e sembra che l'acustica non sia un granchè. Pazienza, ci si tira su le maniche e si fa il possibile.
Intanto il tempo scorre, e la serata comincia. La gente inizia a prendere posto. Le luci calano. Silenzio. Dal proiettore arriva un fascio di luce. Sullo schermo scritte incomprensibili, disegni eccentrici in accoppiamenti di colori estremamente kitsch.
Un non-so-cos'è-ma-sembra-un-orso-strabico fa una breve introduzione di quello che sta per succedere.
E' il capodanno cinese. Buon anno della Tigre.


Ve lo immaginate? Salire su un palco ed essere guardati da trecento occhi a mandorla. In uno stanzone grande e buio, addobbato con mille cianfrusaglie rosso-dorate. E noi cinque lì, con gli occhi consumati a dover remare contro una tempesta di flash. Si perchè da bravi cinesi sono tutti con le loro macchinette in mano.
Pensavo alla mole di informazione prodotta in una sola sera. Saranno state scattate almeno 100 terabytes di fotografie... ma questi sono solo numeri, e i numeri, si sà, sono più noiosi delle persone.

Continuo con le persone, quindi. Con noi, in particolare.
E' musica occidentale quella che proponiamo, una band che a vederla non le daresti un soldo bucato (nb: le corone norvegesi sono bucate!). Due chitarre acustiche, un mandolino, un'armonica a bocca e una tastiera dai suoni finti. Questo non è un gruppo, è una caricatura di una banda di paese!
E invece il risultato è più che gradevole, e i cinesi vanno totalmente in visibilio. Alla fine dell'esibizione regalano a ognuno un pupazzetto stile souvenir ristorante cinese. Lo accetto volentieri. E' pur sempre qualcosa da mettere in una stanza ancora troppo vuota.


E intanto i giorni passano in fretta, fra una pattinata sul ghiaccio e una guerra di palle di neve... proprio come in Italia insomma!
La jam session della domenica sera è diventata un appuntamento fisso e tantissime persone cantano e suonano le loro canzoni. Il film del martedì è sacro, e nel weekend non si torna mai a casa prima delle 5 del mattino.
Le cose sembrano procedere bene. Forse qualcos'altro bolle in pentola, ma per ora preferisco chiudere qui.
Un freddo abbraccio dal nord. brrrrrr







giovedì 4 febbraio 2010

Post #16, giorno 30

Ok, lo so, siete stanchi di sentir parlare sempre benissimo di questa città. Ma anche Bergen, come tutto il resto del mondo credo, ha i suoi lati negativi.
Per esempio, la vita è cara. Anzi, di più. L'abbonamento dell'autobus costa oltre 40 euro al mese, con riduzione studenti intendo. E al supermetcato sei costretto a comprare la marca più infima, rischiando di avvelenarti ogni volta, perchè proprio non puoi permetterti di comprare altro. Non parliamo degli alcolici poi. Una birra in un pub può costare anche 10 euro. Si, esatto, 10 euro una cazzo di pinta. E' proprio per questo che abbiamo preso qualche decisione importante nell'ultima settimana.
Io, Tappo, Dario, Andreas e Trystan stiamo facendo la nostra birra. 22 litri di birra fatta in casa, con le nostre mani.
Riposano nella stanza di Tappo, e gorgogliano tutta la notte aspettando di finire la fermentazione.
E' l'unica soluzione qui e, come già accennavo, non siamo i soli a farlo. D'accordo, la qualità non è chissacchè, ma è pur sempre birra dopo tutto.

Ce ne sono anche altri. Di lati negativi intendo. Ma ora sono troppo preso da quelli positivi, mi spiace. Forse tra qualche mese riuscirò a parlarvi in maniera imparziale di questo posto, e scoprirete che, in fondo, non è tanto diverso da tutte le altre città.

Passiamo ad un lato positivo adesso.
Bergen è davvero la città della musica. C'è musica ovunque, e tutti sembrano saper suonare. Ieri sera, per esempio.
Ero in questo posticino vicino il mercato del pesce, un pub in legno con le sedie scomode e i tavoli in penombra. Il mio genere di locale, insomma. E un trio jazz suonava classici in maniera davvero sublime. D'un tratto un tale inizia ad avvicinarsi alla band. Sarà stato un ragazzo sulla trentina, alto due volte me, grasso e sudato, con in mano un boccale di birra unto del suo sudore. Noi rimaniamo in silenzio, ad osservare la scena. Così questo tizio afferra il microfono e fa quello che non ti aspetteresti mai che faccia un personaggio così. Canta. Ma non come un ubriaco o come qualsiasi altra persona normale. No. Lo fa divinamente. Con una voce profonda che ricorda le voci nere del jazz americano. Cazzo!

Rimaniamo di stucco. Tutti quanti.
Con me c'è una ragazza spagnola di madre africana. Scrive su un taccuino. Questa musica la aiuta a vagare con la fantasia, la aiuta a produrre pensieri. E non vuole lasciarli scappare questi pensieri. Così scrive, scrive, e la penna si muove a ritmo della musica, scivolando sui tasti neri e i tasti bianchi del pianoforte, infilandosi fra le dita del contrabbassista, saltellando da un piatto all'altro della batteria e facendosi cullare dalla voce di quell'angelo grasso e ubriaco.
E poi c'è Pavla alla mia sinistra.
E' arrivata da poco e inizia a parlarmi di una cosa stupenda... mi descrive il giorno del suo funerale. Un prato immenso, musica gitana, gente che beve e si diverte. Cazzo è proprio come vorrei che fosse il mio. E poi il suo corpo nudo nella terra. A seguire un antico rituale indiano. Un seme in bocca. Un albero in divenire.
Ve lo immaginate? Essere lì, distesi su un letto di terra, sotto coperte di terra, insomma, terra ovunque. E insetti, e altre cose. E questo piccolo seme nella vostra bocca, che, piano piano, giorno dopo giorno, cresce. E il tuo corpo sono le sue radici. E il suo corpo è il tuo nuovo corpo.
Dicono sia come rinascere. Come se la tua anima trasmigrasse nell'albero.
Non so se lo farei anch'io. Metti che piantano un cactus poi?