venerdì 13 maggio 2011

Post #20 - Greek-Turkish trip pt. 2: Istanbul

E adesso vi aspettate che sia fedele alla mia promessa. E che quindi vi racconti del mio viaggio durato quasi un mese fra la Grecia e la Turchia. Non credo che andrà a finire così. Non stasera. Non sono nemmeno sbronzo e non ho voglia di riepilogarvi i fatti.
Uhm. Però qualche immagine ve la concedo. Sono uno che si arrende facilmente dopotutto.
Procediamo con ordine, ovvero a ritroso.

Istanbul mi ha fatto uno strano effetto, devo ammetterlo. Pensavo che in una città abitata da dodici milioni di persone ci si sentisse persi, insignificanti, soli; insomma pensavo di sentirmi male. E invece, dopo tanto tempo, ho ritrovato quel senso di calma che ti porta a pensare: "inutile agitarsi: comunque vada, non sei nessuno".
Per prima cosa mi diriggo alla Moschea Nuova. Dentro, pavimenti e mura sono totalmente ricoperti da tappeti con ricami di tutti i colori. E' questo forse che dà alla Moschea un'accoglienza unica, e cala l'ambiente in un silenzio gradevole, non troppo vuoto e non troppo asettico.

Ad Istanbul ho passato da solo la gran parte del tempo. Le mattine i miei amici avevano altro da fare e così mi sono ritrovato in compagnia della mia amata-odiata prima persona singolare. Che tremava, per il freddo inaspettato. Ed ispido. Era un freddo ispido. Però percorrevo sereno le piccole vie piene di mercanti, soffocate dai mille colori delle spezie. Aspettate, no. E' pioggia questa? Si, è pioggia. Cazzo. Mi bagno, tanto, finchè non decido di entrare in un caffè. E' piccolo, ha tutte le pareti in legno e si fuma nargilet. Passo il mio mattino di pioggia leggendo un libro e sorseggiando un ottimo caffè turco.
La sera i locali sono pieni di facce diverse. Non potrai mai conoscerle tutte. I miei amici si orientano bene e mi portano in locali a cui non sarei arrivato da solo. Sono nascosti nei piani superiori di vecchi edifici, irriconoscibili dall'esterno. La vita si frantuma in bicchieri di vetro contenenti i più svariati alcolici.

Siete mai stati in un Hamam? Il così detto "bagno turco". Beh, è la cosa più vicina all'inferno che abbia mai visto. Appena entrato, la temperatura è così alta che fatichi a respirare. Le narici sembrano doverti esplodere di lì a poco. L'aria è rarefatta, i vapori saturano la stanza. Uomini seminudi si aggirano come anime vaganti senza una direzione precisa. Altri sono stesi su un'enorme pietra bollente di marmo circolare, subendo frizioni manuali e fregamenti da energumeni che sembrano insensibili alle temperature del posto. Il soffito a cappella ospita diverse finestre dalle quali una luce netta si proietta in fasci nella foschia della sala.
Esmet è il mio massaggiatore. Per poche lire in più mi mette apposto la schiena in una maniera che erano anni che non mi sentivo così bene. La paura dell'inferno finisce in poco più di mezz'ora. E' incredibile, ma mi sento vivo come non mai.


Sono già passati quattro giorni. Il mio pulman è diretto all'aereoporto Ataturk, quando mi giro verso il finestrino alla mia sinistra e lo vedo. Il Bosforo è lì. Ed è innocuo, indulgente, dotato di una calma innaturale. Come se per contrappasso gli abitanti di una città freneticamente viva, annegata nella fiumana di problemi-obblighi-appuntamenti, avessero ricevuto questo gigante mansueto che riposa tranquillo accasciato sui fianchi della loro terra.
E la mente si perde nel contare i grandi pescherecci che popolano lo stretto. Milioni di punti nel mare. Barche grandi che non fanno paura. Anche loro docili giganti di metallo. Di notte diventano quasi imperscrutabili. Per un momento mi ricordano le galassie: ognuna, apparentemente ferma in un universo elegante, nasconde una vita interiore che mai potrà essere rivelata all'occhio nudo di colui che guarda e sogna.

Quante poesie potrei scriverci sopra se solo mi inventassi poeta?
Credo sette.