domenica 27 marzo 2011

Post #18

Si, e ora che hai fatto tutta questa sparata del ballo, di cosa parlerai? - direte voi.
Beh - dico io - del mio nuovo erasmus.
Si, ma tu non fai nessun nuovo erasmus.
Ah, è vero... sono un controsenso vivente.
Ma, sapete, ho capito che scrivere è diventata una necessità. Per rendere concrete le mie esperienze, per essere reale, palesare la mia esistenza. Se nessuno ascolta quello che faccio, l'ho fatto davvero? E che senso ha avuto farlo?
Mi sento come un albero che cade in una foresta senza nessuno intorno. Faccio rumore?

Tralasciando la fisica del suono e la psicoacustica - per cui la distinzione fra lo spostamento d'aria e il suono è solo basata sulla presenza o meno di un ascoltatore - la mia paura è anche un'altra: quella di dimenticare i particolari.
Continuiamo a dimenticare parte delle storie che ci sono successe, il tessuto di una poltrona o l'odore di un quartiere di Lisbona. E man mano che andiamo avanti le nostre storie perdono sempre più particolari, la trama si fa sempre meno fitta...
Siamo il riassunto di noi stessi.

Quindi, che vi piaccia o no, ecco il mio riassunto: il solito diario erasmus è tornato.

venerdì 25 marzo 2011

Post #17.5, Niente titoli di coda...

Credo di dovervi delle scuse. Molte scuse.
E' che quando una persona inizia a scrivere un blog si crea un contratto implicito fra la persona che scrive e i suoi lettori. E io, lo so, ho infranto questo contratto.
Vi aspettavate di essere con me quando ho visto la neve sciogliersi e mostrare l'erba verde per la prima volta. Avrei dovuto avvisarvi quando ho fatto un viaggio che mi ha cambiato la vita. E quando mi hanno trovato svenuto su una panchina, voi, avevate il diritto di saperlo.
Eppure le parole non sono riuscite a seguire il ritmo delle azioni; o io sono stato molto stupido.
E' un pò come un imbuto, non so se mi capite. Avete tante parole, troppe parole da scrivere, e volete scriverle tutte insieme, tanto che queste parole si addensano tutte all'uscita del vostro imbuto e si bloccano lì.
Solo ora che i miei sentimenti si sono raffreddati ho trovato la sistematicità di tirarle fuori ad una ad una, quelle parole.

Bene. O forse no, male. Ma comunque è questo.
E ora, che facciamo?
E' un pò come al ballo della scuola quando i ragazzi e le ragazze si osservano da lontano, sistemati in due schiere contrapposte, come plotoni allineati in tempo di guerra. Chi farà la prima mossa?
Io e voi ci osserivamo, ci scrutiamo a distanza. E' venuta meno quella fiducia reciproca e le mie parole possono essere come mine vaganti. Eppure, mi sono avvicinato, ho cercato il contatto.
Vi invito a ballare, accetterete?