domenica 17 giugno 2012

Small talk



Oggi è stata una bella giornata.
Sole, un immenso prato inglese, persone sorridenti. Ma come sono arrivato fino a questo punto? Come ho fatto a conoscere queste persone?
Ripercorriamo insieme gli avvenimenti per capirne l'eziologia.
La chiave di tutto è Couch Surfing. Molti di voi lo conoscono già, non mi soffermerò quindi a spiegare cos'è (tanto c'è sempre Wikipedia). La fortuna è che a Cambridge c'è un gruppo di couchsurfers molto attivi che si riuniscono tutti i giovedì. Cos'altro ho da fare? Ci vado.
E' così che mi ritrovo circondato da più di quaranta persone di ogni nazionalità. Ognuno con la sua storia, ma nessuno che la racconti davvero. Si perchè in queste serate passi la maggior parte del tempo a fare o rispondere alle stesse tre domande:
-Come ti chiami?
-Di dove sei?
-Cosa fai qui?
E' quello che gli inglesi chiamano 'small talk'. Conversazioni informali di piccola entità. E così si parla di come ci si trova a Cambridge, di quanto a lungo si pensa di rimanere, di dove si abita. E tutte le quaranta conversazioni hanno lo stesso stampo. Terribile, direte voi. Essenziale, dico io: l'unico modo per farsi nuovi amici.
[piccolo detour]
La prima volta che sentii parlare di small talk andai subito su internet a cercarne il significato. Così finii su di un blog in cui gli utenti descrivevano la pratica dello small talk e facevano alcune riflessioni molto interessanti. Tanto interessanti e intelligenti che rimasi su quel blog per ore, passando da un thread ad un altro. Tutti gli utenti sembravano incredibilmente colti, e molti la pensavano proprio come la penso io. Mi trovavo 'a casa'!
Ho poi scoperto che era un blog per persone affette da autismo.
[fine detour]
Oltre i vari small talks ho anche avuto qualche conversazione più lunga. Un bulgaro-americano mi ha portato sulle spalle e con una polacca ho parlato di suonare vegetali.
Ho così cominciato a frequentare i couchsurfers e mi sono già ritrovato ad una jam session e ad un barbecue.

Nel frattempo in questi giorni ho anche avuto il colloquio per ottenere il National Insurance Number (l'equivalente del nostro codice fiscale). Ufficio immigrazioni strapieno, e fin qui simile all'Italia. La differenza è che non si sentiva volare una mosca e il mio colloquio è iniziato con una puntualità ineccepibile. Dopo alcune domande e dopo aver controllato tutte le mie carte, la signora che sedeva dall'altro lato della scrivania, gentilissima, mi sorride e dice: "Welcome to England Sir".
Eh già, la gentilezza non è un'abitudine dimenticata da queste parti. A volte è fin troppo formale però. Provate per esempio a prendere un autobus a Cambridge e sedete vicino all'autista. Lo noterete alzare la mano in segno di saluto verso tutti gli altri autobus che passano. Proprio tutti. Alla fine della giornata avrà crampi alle braccia che nemmeno un culturista.

Siccome stasera ho poca voglia di dormire, in questo post ci ficco dentro un altro argomento: le Charities, aka il paese dei balocchi.
Questi posti magici sono piccoli negozi che vendono vestiti e oggetti usati a prezzi letteralmente stracciati. Questo perché i precedenti possessori hanno donato i loro averi ad organizzazioni no profit come la croce rossa, la quale rivende questi beni ad un prezzo molto conveniente, utilizzando il ricavato a scopo umanitario. Semplicemente geniale. Si perché tante persone donano oggetti quasi nuovi ma che semplicemente non usano più. Così puoi trovare di tutto, dai vestiti (ho comprato una camicia ed un cappello!) alle scarpe, ai giochi da tavolo ai dvd ai mobili ai...
Ah, l'Inghilterra: che paiese!

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