venerdì 29 aprile 2011

Post #19, Last act in Istanbul – The voice of Theran

Dell’ultima notte del mio viaggio ho dei ricordi freschi come la lattuga in un Kebab. Per questo, comincerò dalla fine, sperando di non mistificare troppo l’inizio di questo lungo percorso.

Ero in piedi sulla soglia della porta della cucina, era la casa di T, un ragazzo Sloveno conosciuto in Grecia. Fuori dalla finestra due grattacieli dominavano la notte di Istanbul.
M aveva un pigiama corto e si agitava freneticamente passando da un angolo all’altro della cucina. Parlava un italiano inventato, in parte preso dai cartoni animati che guardava quando era piccola. Sua madre, nella sua casa nel cuore di Theran, non le aveva mai insegnato a parlare quella lingua così diversa; aveva fatto tutto da sola, iniziando a riconoscere le parole più semplici per poi, un giorno, sorprendersi di capire perfettamente la lingua dei suoi cartoni preferiti.

Quello che ho fatto l’ultima notte si riduce ad una parola: ascoltare. M parlava senza interruzioni, ed io ero avido delle sue parole. Volevo sapere tutto dell’Iran, di quella terra così lontana.
Sapete, sento di doverle qualcosa, perché le sue parole mi hanno toccato davvero, e mi hanno fatto crescere. Purtroppo, l’unica cosa che posso fare per sdebitarmi è condividere le sue parole con tutti voi, sperando che possa aiutarla nella sua causa di sensibilizzarvi, e che vi faccia cambiare un po’ le idee confuse che avete su un popolo troppo lontano dai nostri cieli tersi.

“Se non avessimo questo governo verrebbe fuori che ci sono più musulmani in Turchia che in Iran”, si appresta a dire. Eh si, perché voi pensate che quella del velo sia una scelta, e che tutti rispettino l’Islam. Questo è quello che sembra se si osserva la prima Theran, quella alla luce del sole, dove per paura della polizia le ragazze si nascondono sotto il burka e non scambiano nemmeno una parola con i ragazzi della loro età.
Ma c’è una seconda Theran. è la Theran underground, quella dove i veli non si sopportano più, dove scorre alcol di contrabbando e si organizzano feste illegali negli scantinati. È la Theran dei giovani che come fantasmi irrequieti non hanno altra scelta che bere e drogarsi al ritmo di un rock’n’roll illegale e liberatorio.
“Breaking the law”, cantavano i Judas Priest. Ma stavolta non è solo un ritornello catchy per adolescenti arrabbiati. Qui, il rock, ha ancora un senso. È ancora sinonimo di ribellione.
“L’Iran è un paese fatto al 70% di giovani, di ragazzi che non ce la fanno più. E primo o poi – dice M - scoppieremo!”.
Intanto si esce per le strade, bevendo un succo di frutta “modificato”. Lo chiamano dog liquor, liquore da cani, perché solo i cani possono bere un intruglio così. Lo travasano nelle bottiglie vuote di succhi di frutta o coca-cola, per avere il brivido di bere guardando uno sbirro negli occhi.
“Non puoi vivere un solo giorno a Theran, senza infrangere la legge almeno una volta”, continua M. Ma il vero problema sono le bugie. E’ da quando sei piccola - mi spiega - che ti insegnano a mentire. Il primo giorno di scuola ti dicono: “Mi raccomando, non dire a nessuno che papà beve”.
“Ma come? Perché?”
“Tu, non lo dire e basta”.
Così un giorno torni a casa e dici “Mamma, oggi una bambina mi ha chiesto se mio papà beve. Io ho detto di no. Sono stata brava?”.

Ma c’è anche un lato “positivo”. O quasi. Ed è il valore delle emozioni.
Se cammini con il tuo ragazzo, nelle strade di Theran, non c’è cosa più emozionante di un bacio. Un bacio? direte voi. Si, un semplice bacio. Perché, se la polizia ti vede, rischi la galera.
E allora quel bacio si trasforma in una scarica di adrenalina di cui voi Europei non avrete mai idea.
È questo il lato positivo. M adesso può apprezzare le piccole cose, andare ad un concerto senza la paura che la polizia faccia irruzione e porti tutti in galera. Poter passeggiare mano per la mano con il suo ragazzo nelle strade di Istanbul. O anche solo e semplicemente il poter camminare per strada e sentire il vento fra i capelli.

La nostra notte continua con un viaggio fra i sapori e le spezie del loro popolo. Quasi mi sembra di averle sotto le dita, di poter sentirne l’odore.
Non voglio andare a dormire. Sono troppo scosso. Eppure sono le 5 del mattino, e la notte buia di Istanbul si riempie delle voci cantilenanti che invitano alla preghiera, lassù, dall’alto dei minareti.

Vorrei solo che un giorno non dovessi più parlare di un paese dove la gente soffre una tirannia subdola e nascosta.
Vorrei solo che un giorno i concerti negli scantinati uscissero all’aperto, e le loro note scompigliassero i capelli delle ragazzine di Theran.

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